La storia di Anita da Roma, sostenuta con Progetto Gemma

Foto della pancia di Maria, aiutata grazie a Progetto Gemma
Roma 2020. La storia di Anita madre di tre bambine scopre di essere incinta per la quarta volta e travolti dalla pandemia. Cosa fare? Scopri la sua storia, di come Progetto Gemma la ha aiutata e sostenuta, grazie anche al sostegno del "Segretariato Sociale per la Vita di Roma APS".

La gioia di essere mamma per la quarta volta

Luglio 2019, ero mamma di tre splendide bambine. Dopo la terza bambina avevo solo la determinazione di crescerle serenamente, offrendo loro tutto ciò che era nelle mie possibilità. Non è stato facile, come d’altronde non lo è un po’ per tutte le famiglie numerose e non, ma la mancanza del lavoro fisso, di una sicurezza, pur minima lavorativa, di una minima garanzia di poter crescere le bambine, offrendo loro almeno il minimo indispensabile; l’istruzione, l’educazione, la salute e tanto amore.  Ci stavamo riuscendo come famiglia ad andare avanti in un modo o nell’altro, tra qualche offerta lavorativa, aiuti statali e aiuti di persone che si innamoravano delle bambine e della loro/nostra semplicità. Non abbiamo mai avuto altre priorità, se non quelle di guidare le nostre bambine verso la vita, con tutte le sue sfumature belle e meno belle.

La scoperta

Un giorno di luglio, scopro di avere un ritardo, sicurissima che dipendesse dallo stress o dalla perdita di peso, decido comunque di fare il test di gravidanza, giusto per escludere una delle prime cause dell’amenorrea. Risultò positivo, e allora mi cadde il mondo addosso. Piansi tanto, non sapevo cosa fare, cosa dire, come dire. Mi passarono in 5 minuti, mentre fissavo il test, tutti gli anni, le mancanze i sacrifici che affrontai con e per le mie tre bambine. Pensai subito che non potevo privarle ancora mettendo al mondo un’altra bambina, non me lo posso permettere, non posso fare questo a coloro che comunque negli anni hanno patito, anche la fame. Mi vergognai di me stessa, della mia irresponsabilità, della mia non attenzione, e presi la decisione di incominciare l’iter dell’interruzione. Lo dovevo per coloro che c’erano, fui supportata in questa decisione, da persone che conoscevano la situazione economica familiare, oggi, capisco che non era per cinismo o per una coscienza sbagliata, ma solo per conoscenza delle difficoltà, che mi appoggiarono ad intraprendere questo indefinibile cammino. Cercavo nelle poche persone a cui ebbi il coraggio di rivolgermi un supporto, ma il mio inconscio non accettava. Ogni prescrizione, ogni esame che feci erano ricoperte di lacrime, dal vuoto, dall’incredulità di come io, mamma di 3 bambine, stessi affrontando questo percorso, credendo di non doverle privare ulteriormente. Feci tutte le analisi ed esami dovuti, dicendo alle bambine che era una semplice carenza di ferro, ma loro, inconsciamente erano preoccupate più del dovuto, erano diverse, erano pronte lì ad incoraggiarmi di non farlo, sono sicura che se avessero saputo la verità, avrebbero detto -Mamma, non ti preoccupare, a me il dentista non è tanto necessario; -Mamma, non preoccuparti, posso rinunciare a questo o a quello; -Mamma, ci siamo noi ad aiutarti.

Progetto Gemma. Doppio Sorriso

La scelta

In quei giorni bui, durante tutto il periodo della mia decisione, non toccai la pancia per paura di farmi male psicologicamente, per paura di affezionarmi a quella minuscola vita, paura di andare avanti. Mi allontanai da mio marito, gli davo la colpa, mi davo la colpa, ci davo la colpa per avermi messo in questa situazione cosi triste, così incomprensiva, così assurdamente forzata dall’insieme di difficoltà.  Pensavo a tutti i cambiamenti che avrei dovuto affrontare, non solo io, ma tutti, e mi ripetevo che non era fattibile. La mia morale era più forte, mi ostacolava nelle mie decisioni, infatti quel periodo, quei famosi quasi 90 giorni, sono giorni non vissuti, non parlati, sono giorni che non mi appartengono, sono giorni che oggi nel calendario del 2019 per me non esistono. Arrivò la sera più brutta, la sera prima dell’intervento. Decisi di scrivere una lettera d’addio all’esserino che era dentro di me. Con la mano tremolante e lacrime a più non posso, la scrissi, la misi nel cassetto con un insieme di perché, di odio verso me stessa, di non so cosa accadrà dopo. Non dormii tutta la notte, impedivo a me stessa di avvicinare le  mani vicino alla pancia, non me lo merito, pensavo, non illudere né te stessa né quell’anima innocente, continua a vivere nella miseria totale di sentimenti, di queste scelte, mi definì anche come assassina, perché mi ripetevo che da domani, dopo l’intervento lo sarei stata, punto e basta. Avrei deciso della vita o no di un’anima che ancora non aveva voce in capitolo, ma dipendeva semplicemente dal mio grembo, dalle mie scelte.

 

Il mattino dopo mi alzai, dissi a mio marito che non se ne faceva nulla, assolutamente, io non potevo proseguire in questa terribile scelta, io, mamma, mi sarei persa psicologicamente, non sarei stata più la stessa persona e, meglio qualche mancanza materiale e/o alimentare per le mie bambine, che la mancanza di una mamma in salute, mancanza di una mamma felice, di quella mamma che hanno avuto fino a quel momento, e, mancanza soprattutto di quella sorellina che non aveva nessuna colpa, assolutamente nessuna. Eravamo in macchina, quando in tarda mattina, mi chiamò il dottore che avrebbe dovuto fare l’intervento, gli risposi solo che ci ho ripensato, inconsciamente non sentì nemmeno cosa mi disse, so solo che chiusi il telefono con un piccolissimo sorriso e tenendo la mano sulla pancia, cercando di proteggere quel cuoricino.

« Fui rassicurata, come se la persona dall’altra parte del telefono mi conoscesse da sempre, come se conoscesse la mia storia fin dall’inizio, nessun giudizio, nessuna parola fuori posto, solo calma, serenità e un forte senso di “non sei sola” »

L'aiuto

Nei giorni a venire, scoprì questa associazione, non ebbi il coraggio di chiamare personalmente, lo fece mia mamma, che per qualche giorno parlò per me, solo dopo parlai io con una gentilissima Signora, che solo ascoltandomi, mi tranquillizzò, mi sentì in qualche modo umana, sentì che avevo potuto sbagliare, mi sentì più leggera, pensando che non fossi quel mostro che mi definivo, che potevo raccontare ciò che avevo passato in quei quasi 90 giorni. Fui rassicurata, come se la persona dall’altra parte del telefono mi conoscesse da sempre, come se conoscesse la mia storia fin dall’inizio, nessun giudizio, nessuna parola fuori posto, solo calma, serenità e un forte senso di “non sei sola”, ne oggi ne domani. La gravidanza proseguì tranquillamente, la piccola cresceva, si nascondeva dietro la placenta e non si faceva vedere, le sorelle più grandi non vedevano l’ora di conoscerla. Erano al settimo cielo, erano sempre lì a chiedermi se stavamo bene. Decidemmo il nome tutte insieme, d’altronde era la quarta femminuccia, era compito delle donnine di casa. 

Progetto Gemma. Doppio Sorriso salva vita

Ad aprile, in piena pandemia, con la mascherina, quasi a dover nascondere le emozioni che trapelavano solo dagli occhi lucidi, nacque la piccola, la tenni sul petto più a lungo rispetto alle sorelle, quasi come se il destino mi stesse dicendo di recuperare quel legame che mi negai in quei famosi quasi 90 giorni. La strinsi, la guardai per tutto il tempo, le parlai attraverso la mascherina accarezzandole quel minuscolo corpicino. La mia bambina era lì, su di me, tranquilla, con occhi quasi spalancati, mi cercava, cercava la mia voce, ed io, cercavo il suo perdono. Nella sala appena dopo la sala parto, aspettavo la mia bambina, la aspettavo mentre la pulivano, la pesavano e tutto. Io ancora con la mascherina, che non volli togliere, la aspettavo piangendo, con i sensi di colpa, con i pensieri di come ho potuto solo pensare di… Dopo 3 giorni eravamo a casa, siamo state accolte da una felicità, da una gioia, dai sorrisi, dalla curiosità delle sorelle, che mai avrei immaginato avrebbero potuto sprigionare. Mi guadavano, ci guardavano, e, delicatamente salutarono la sorellina con le loro mani, con i loro cuori, con il loro “andrà tutto bene”.  Nel giro di pochi secondi, le mie piccoline, le mie bambine, sono diventate donnine, sono diventate grandi, sono ritornate quelle bambine che erano prima dei quasi 90 giorni e poi, era andato tutto bene, la loro mamma stava bene, la piccola stava bene, ed eravamo entrambe a casa. Bambine con un forte senso di responsabilità e protezione verso un nuovo esserino.

« Siamo grati ad ogni singola persona che ha aiutato non solo psicologicamente, non solo moralmente, ma soprattutto economicamente l’ingresso in questo mondo alla nostra piccolina »

L'epilogo

Oggi, la piccola ha quasi 3 mesi, ha degli occhioni azzurri, sempre spalancati, curiosi e desiderosi di apprendere. Ha un’energia fin da quando è nata, tale da volersi quasi alzare su quei minuscoli piedini, l’energia tale da dire quasi ‘mamma’ mentre piange, l’energia tale da far commuovere anche le sorelle con i suoi spontanei sorrisi. Non chiede tanto, non vuole tanto, le basta quel calore dell’intera famiglia, l’amore incondizionato. In un modo o nell’altro ce la faremo, siamo fiduciosi, siamo GRATI ad ogni singola persona che ha aiutato non solo psicologicamente, non solo moralmente, ma soprattutto economicamente l’ingresso in questo mondo alla nostra piccolina. Grazie per aver dato modo a me, mamma, di non sentirmi sola. Grazie per aver ridato a questa numerosa famiglia l’opportunità di sperare, di continuare a sorridere, di non sentirsi soli ed avere Fede nella meravigliosa Vita, a volte difficile.

 

La mamma che Voi state AIUTANDO.

Storia di un “Progetto Gemma” assistito dal “Segretariato Sociale per la Vita di Roma APS”

*nome modificato per tutelare la privacy della beneficiaria

Sostieni anche tu Anita e altre mamme grazie a Progetto Gemma, accompagnandole per 18 mesi

Dona ora a Progetto Gemma e aiuterai donne e mamme in necessità

Condividi

C'è molto di più da scoprire